4 GEN
Ma serve a qualcosa essere “buoni”?
Pubblicato in: 4 chiacchiere, Noi, Società | 4 gennaio 2018 - 10:24

rsz_marcia_3_per-blogSe ti piace la politica e ti muovi cercando un senso, questa è la domanda che prima o poi ti fai, non foss’altro perché ne acchiappi tante, ma tante, che, ogni tanto -anche solo tra te e te- seduto in un angolo con la testa appoggiata di lato, ti viene da pensare “ma chi me lo fa fare”…che poi è lo stesso.

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Io me lo sono chiesto per decenni. Perché le risposte emotive che di solito ci diamo per consolarci (tipo “fa male e pensa, fa bene e dimentica”; o, la più gettonata, “avremo la ricompensa in un’altra vita”) non mi hanno mai convinta. Non volevo una risposta in cui è il cuore a giustificare se stesso. Troppo facile. Equivale a dire “perché è così e basta”. Se il cuore doveva avere un senso, questo doveva essere intelligente, razionale, dimostrabile. Perciò mi sono rivolta alla scienza. E vi dico che qualcosa, dopo trenta anni, ho trovato. Vedete se vi piace.

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Un certo, Mark Buchanan, fisico teorico americano, ha trattato la “bontà” (intendendo con essa quel sentimento che spinge un qualsiasi essere umano ad anteporre interessi collettivi ad interessi individuali) come un qualsiasi argomento da testare in laboratorio. È partito prima di tutto da una osservazione molto semplice (che equivale sul piano scientifico alla nostra domanda iniziale): se, come ci dice la biologia, “l’evoluzione non è benevola con gli organismi che sacrificano i propri interessi per il bene altrui”, quindi non è utile all’individuo, perché non è diventata un fattore via via sempre meno presente nella nostra evoluzione fino a sparire? Perché, evidentemente, resta iscritto nella nostra biologia? Che senso ha?

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Buchanan ha fatto una cosa incredibile: ha raccolto tutte le teorie disponibili sull’argomento e le ha testate con prove di laboratorio, sottoponendo individui, a gruppi o isolati, a decine e decine di esperimenti di interazione sociale, messi a punto a partire da quelle teorie. Ha poi ulteriormente osservato quei risultati alla luce dei fatti storici per verificarne la rispondenza.

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Ve la faccio breve. La sua deduzione è la seguente: sul piano individuale resta confermato che la “bontà” sia un fattore svantaggiante per l’individuo. Alla fine degli esperimenti, infatti, l’individuo o gli individui con maggiore propensione alla cooperazione o altruismo risultavano aver accumulato minori o assenti vantaggi, avendo sacrificato le ricompense per condividerle con altri individui o per aiutarli a raggiungere il loro risultato.

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Ma sul piano collettivo, era tutta un’altra storia. Buchanan ha osservato che nei suoi esperimenti prevalevano nei risultati (quindi nell’accumulo delle ricompense o nel raggiungimento degli obiettivi) quei gruppi all’interno dei quali fossero presenti il maggior numero di individui “altruisti”. Cioè, laddove erano presenti più persone orientate alla cooperazione e all’aiuto, il gruppo tutto ne beneficiava nel risultato competitivo. Mentre, nei gruppi dove si agiva in maniera scarsamente cooperativa o totalmente individualistica, si raggiungevano scarsi o assenti risultati.

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Confrontando poi questi risultati con il destino di intere popolazioni che avevano resistito a crisi storiche o  ne erano state cancellate, nel corso di intere ere geologiche, e confrontandole coi loro sistemi di organizzazione sociale, più o meno cooperativi, Buchanan aveva verificato che il modello risultante in laboratorio si confermava valido. Erano stati infatti spazzati via dalla scena mondiale, quei gruppi sociali che non erano stati in grado di opporre, alle crisi storiche, sistemi di organizzazione sociale sufficientemente cooperativi.

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Quindi la bontà non serve all’individuo, ma serve ai gruppi, alla comunità -all’umanità se volete- per resistere ai fattori di crisi, per proteggere se stessa, per continuare ad esistere.

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Perciò brave persone di tutto il mondo rassegnatevi e gioite. Se la vostra vita è un po’ una monnezza, tranquilli, è previsto ed è normale. Ma gioite perché quello che vi viene naturale, quella spinta alla quale non riuscite a resistere, e che qualche volta maledite, è la fiamma che la vita si è inventata, per mantenersi attraverso di voi, integra. Voi, col vostro irresistibile bisogno di dare una mano, di aiutare, di realizzare il bene collettivo, siete il collante della società, siete l’elemento che tiene in equilibrio il mondo e gli impedisce di andare in pezzi.

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La “bontà”, quindi, davvero salva il mondo. La qual cosa, come dimostrato, non potrà migliorare la vostra vita personale, ma, secondo me, le può dare un senso che la cambia per sempre.

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