14 GIU
bandiera M5S

Nel clima di feroce opposizione che si era creato intorno a loro, e in seguito ai primi arresti e alle defezioni dei fedeli che seguirono, Cristo si rivolse compassionevole ai suoi dodici, e disse “se volete, anche voi potete andare”. Simon Pietro rispose per tutti: “andare, Signore? e per tornare a che cosa?”

 

Sono brutti giorni per il M5S, inutile negarlo. La nostra acerbità (cosa, si badi bene, ben diversa dall’incompetenza) a stare nell’agone pubblico, l’innocenza ancora spoglia della giusta attenzione (ancora troppo colombe e troppo poco serpenti, per intenderci e restare in tema), e l’indubitabile attacco mediatico, senza precedenti, scatenato dai media contro il Movimento, stanno innegabilmente dando i loro risultati.

 

Generando da una parte, come sappiamo, dolorose defezioni nell’area parlamentare e, dall’altra, un generale smarrimento nella base -soprattutto laddove si è reduci da non brillanti risultati elettorali- che si sta per lo più traducendo in conflittualità interna. Per chi ne dubitasse, ne sto facendo diretta esperienza in riunioni locali, che definire accese è un eufemismo, e ugualmente sperimento nei social network un’atmosfera di inusitata astiosità, un’aria da resa dei conti, contro gli attivisti del movimento e -che è peggio- tra gli attivisti del movimento.

 

Ci sarà forse utile allora, in questo frangente, ricordare che dalla notte dei tempi tutti i cambiamenti avvengono con le stesse modalità e attraversano gli stessi gorghi. E che smarrire la forza di fronte all’attacco di un sistema che ha terrore di finire e totale potenza di fuoco a sua disposizione è comprensibile, che smarrire fiducia nel cammino e nei nostri compagni di viaggio è umano, e che la nostra attuale storia è la storia eterna dell’uomo per affermare se stesso, e ha illustri precedenti.

 

Ma ancor più, forse, ci sarà utile soffermarci sulla chiusa dell’episodio narrato -le parole lievissime e perentorie di Pietro-, su quella luminosa certezza che la consapevolezza è una strada senza ritorno, che il futuro è una strada volontariamente obbligata.

 

Era il marzo 2009 quando altrove scrivevo “Qualcuno dovrebbe proprio dircelo che si può smettere di chiamarla sfortuna, caso o destino, e pronunciare parole ampie, solidali e condivise per le nostre individuali fatiche di vivere. Qualcuno dovrebbe rivelarci un’altra possibile storia collettiva”. Dopo pochi mesi il mio desiderio fu incredibilmente realizzato.

 

Eravamo un paese di individui dispersi, ignari gli uni degli altri, isolati nelle nostre individuali sofferenze, con la sola generale consapevolezza di una rappresentanza impossibile. Poi un comico parlò e noi diventammo un popolo. Perché sapemmo. Sapemmo che eravamo molti, ma soprattutto sapemmo in quanti e quali modi, non casuali, una classe dirigente colpevole ci stava rubando il presente. Ebbene, come tornare da questo? E a che cosa?

 

Ciò che è stato visto, è saputo per sempre. E la fame di giustizia può essere placata solo con la giustizia. Perciò, per noi, nessuna paura. Lo smarrimento di questi giorni è solo stanchezza. Ma la sete che ci ha fatto nascere, ci riporterà presto, con naturalezza, a sedere sereni nelle stanze del confronto e dell’impegno.

 

Per chi invece, alla finestra, sta attendendo ansiosamente e ciecamente la disfatta del nostro desiderio di futuro, per sentirsi finalmente in pace, non più interrogato dall’urgenza di cambiamento, che batte a tutte le porte indistintamente, nessuna illusione, continueremo a disturbare le vostre coscienze. Continueremo a chiamarvi. Noi siamo un invito permanente.

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