10 APR
A cosa doveva servire l’Europa
Pubblicato in: Economia, Europa, Politica | 10 aprile 2013 - 14:37
rivolta in Grecia

Sintetizzando sommariamente la lunga storia dell’europeismo, cioè di quelle teorie, quelle aspirazioni e ideali che hanno sospinto il processo di integrazione europeo, possiamo affermare che l’idea della creazione di uno spazio comune di pace e prosperità (con particolare riferimento alle due sanguinosissime guerre mondiali scaturite all’interno del nostro continente) sia il cardine del sogno europeista.

 

Nei suoi documenti, oggi, l’Unione Europea, precisa e amplifica quell’ambizione di pace e prosperità includendo i suoi necessari corollari. Nel Trattato sull’UE infatti si legge che l’Unione “si adopera per lo sviluppo sostenibile, basato su una crescita economica equilibrata […] che mira alla piena occupazione […] combatte l’esclusione sociale […] promuove la solidarietà tra generazioni […] la coesione sociale, la solidarietà tra gli Stati membri […] l’eliminazione della povertà (art. 3).

 

Andiamo ora a guardare un po’ di dati, per esser certi di farci un’idea oggettiva e non emotiva dello stato attuale delle cose.

 

PIL* – Grecia, Cipro, Italia, Portogallo e Spagna hanno registrato un PIL negativo nel 2012, e hanno tutte in previsione un valore ugualmente negativo per l’anno corrente. Se guardiamo al dato generale dell’Unione la situazione non cambia di molto. La crescita per l’Unione nel suo complesso infatti è stata nel 2012 ugualmente negativa (-0,3% nel 2012) ed è prevista ad uno sparuto 0,1% nel 2013. Interessante poi notare che nella sola Eurozona, cioè nell’area limitata ai 17 paesi (sui 27 totali dell’Unione) che aderiscono alla moneta unica, la crescita nel 2012 è stata del -0,6% ed è prevista al -0,3% per il 2013, quindi leggermente peggio che nell’Unione considerata nel suo complesso. La moneta unica merita un discorso a parte, ma per lo scopo presente ci limitiamo ad osservare che alcuni parametri macroeconomici peggiorano in associazione con la presenza dell’Euro.

 

DISOCCUPAZIONE* – I dati medi sulla disoccupazione (aggiornati al febbraio del 2013) nei paesi membri dell’Unione registrano, in ordine discendente, il record negativo della Grecia arrivata vicino al 27%, la Spagna al 26,3%, il Portogallo al 17,5%, Cipro al 14%, l’Italia al 11,6% (Ricordiamo incidentalmente, come termine di confronto, che dagli economisti viene considerato ”sopportabile” un tasso di disoccupazione che non superi il 5%). Anche qui è importante notare che il dato resta preoccupante se considerato sulla totalità dell’Unione, dove il tasso di disoccupazione resta infatti al  10,9%, e che anche questo dato peggiora (al 12%) se considerato nella sola eurozona.

 

SUICIDI – È di questi giorni, poi, la notizia che il primo ministro bulgaro, Marin Raykov, ha indetto 3 giorni di preghiera per scongiurare l’ondata di suicidi nel suo paese. In Bulgaria, infatti, paese membro dal 2007 (crescita intorno al 1% e disoccupazione al 12,5%, 1 persona su 5 sotto la soglia di povertà), si stanno registrando attualmente 2 suicidi al giorno, 200 persone si sono tolte la vita in Bulgaria dall’inizio dell’anno. Ma il tasso di suicidi è aumentato in tutta l’Unione Europea del 20% (del 40% nella sola Grecia) rispetto al minimo, che è stato toccato nel 2007.

 

CRONACHE DALL’UNIONE EUROPEA – Al bollettino di guerra appena elencato possiamo aggiungere, come recenti prodotti della crisi economica e della disgregazione socio-politica che stiamo attraversando, le drammatiche rivolte e la nascita di Alba Dorata in Grecia, il violento impoverimento e l’implosione del sistema politico in Italia, le proteste di piazza in Spagna, i sempre più malcelati malumori per le politiche di austerità in Francia e Olanda.

 

COLPA DELLA CRISI MONDIALE* – A questo punto, qualora si fosse tentati di pensare che quanto sta accadendo in Europa sia frutto della crisi arrivataci addosso dagli Stati Uniti, è importante osservare che gli Stati Uniti, dopo i critici anni 2008 e 2009, sono subito tornati a crescere con percentuali intorno al 2%. La disoccupazione negli USA, dopo essersi avvicinata negli stessi anni al 10%, è fin dal 2011 in costante diminuzione, attualmente attestata al 7,7% e prevista in ulteriore diminuzione nel 2013. Al netto quindi della grande crisi economica arrivata da oltre oceano, non c’è ormai dubbio per nessuno, tranne che per coloro che hanno interesse ad affermare il contrario, che l’attuale scenario di crisi è completamene fatto in casa, un esclusivo prodotto di metodologie economiche squisitamente nostrane. Le politiche di austerità, i severi parametri di riferimento, l’imposizione di aggiustamenti di bilancio anche in condizioni macro-economiche proibitive, insieme -per i membri dell’eurozona- all’impossibilità di aggiustamenti monetari (svalutazioni difensive), sono indubbiamente responsabili della spirale depressiva di indebitamento e impoverimento nei quali l’Europa si sta dibattendo.

 

Chiariamo subito, per coloro che troppo facilmente e banalmente, sposando una propaganda irresponsabile e cieca agli effetti, volessero chiamarci anti-europeisti, che non ci stiamo qui esprimendo contro il sentimento europeista o l’ambizione della pace e cooperazione tra i paesi europei (esiste veramente qualcuno che direbbe di no a una promessa di pace?), ma sicuramente contro questa Europa, dimentica dei suoi originari scopi. Ci stiamo esprimendo contro l’assurda interpretazione in chiave paternalistica e moralistica che, di quel primario spirito europeista, viene attualmente data, e per la quale viene veicolata l’idea che, non vi sia altro modo per essere all’altezza del sogno europeista che sottomettersi a regole espiative e versare lacrime e sangue nel loro nome. Ci stiamo sicuramente esprimendo contro quel furore ideologico che sembra voler purificare un intero continente da se stesso prima di ammetterlo alla superiore dignità europea, del quale la Germania appare oggi come il principale -e purtroppo incontrastato- ispiratore.

 

rivolta grecia_9Se l’Europa doveva servire alla nostra pace e al nostro diffuso benessere, gli attuali 79 milioni di poveri dell’Unione (su 500 milioni di popolazione totale), i venti di protesta e rivolta che la attraversano, i nuovi sentimenti di rancore sorti tra paesi europei, laddove vengono sentite come schiaffo e ferita le pesanti imposizioni e le enormi disparità a valle di una promessa di solidarietà e di comune destino positivo, rendono conto al momento di un totale fallimento della originaria missione europea.

 

Povertà, disoccupazione, sofferenza sociale: nel terzo millennio sembrerebbe non necessario muovere gli uni contro gli altri con armi esplosive per fare disastri di un continente. Questa Europa, dietro gli scopi dichiarati, sembra star mettendo a punto un nuovo modo, più sofisticato e nascosto, di produrre gli stessi effetti di un conflitto armato con metodi apparentemente imbelli, in luogo di pace e benessere sembra star promuovendo scenari di guerra con altri mezzi.

 

Alla luce di tutto ciò, stupisce e indigna la sconcertante calma che, ancora nel novembre 2012, faceva dire a una compassata, quasi inerte, Angela Merkel, che la crisi sarebbe durata altri 5 anni o più. Ma ancora di più stupisce e indigna la scandalosa assenza di reazioni politiche, dai paesi già in grave sofferenza, verso chi sta evidentemente “imponendo la crisi come metodo di governo” (A.Bagnai). Che nessuno senta il bisogno di ricordare valori e obiettivi dell’Unione e il conseguente dovere di cercare e realizzare un’inversione di tendenza, con qualsiasi mezzo e senza ulteriori attese, è lo scandalo di questo tempo e di questa Europa.

 

Al momento, spiace dirlo, c’è solo da augurarsi che la nuova sofferenza nella quale, a guardare i loro dati economici, stanno probabilmente entrando paesi come Francia e Olanda (paesi di tradizione politica più assertiva), e in parte l’affermarsi in Italia di forze politiche critiche con le metodologie economiche dell’Unione, possa generare un asse politico capace di spostare l’agenda europea dal moralismo verso il popolo europeo alla necessità di prendersi cura di esso.

 

Questa è la nostra migliore speranza perché, in assenza di credibili opposizioni politiche, l’alternativa consiste purtroppo unicamente nel cambiamento violento, forzato dal precipitare nell’incontrollabilità dei fenomeni di dissenso.

 .

 (*Dati di fonte Eurostat)

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